PROGETTISTI: DELISABATINI architetti + Arch. Giancarlo Babusci + Ing. Antonio Michetti
ANNO: 2006
DESRIZIONE: Riqualificazione Aree Adiacenti il Centro Storico di Umbertide
LOCATION: UMBERTIDE
COMMITTENTE: pubblico
COLLABORATORI: Michele Calvano
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Obiettivo principale dell’intervento è dare un nuovo senso ad un’area fondamentale che si trova a cavallo tra il centro storico di Umbertide e la sua espansione, un’area di una certa dimensione nella quale più elementi storicamente e naturalisticamente rilevanti coesistono ma in assenza di un ordine e di un disegno manifesto producendo un insieme nel quale la visione si perde disturbata dalla sovrapposizione di più segnali visivi che impediscono la chiara lettura.
L’idea è quella di introdurre un nuovo ordine chiaro ed inequivocabile agendo sulla visione per mezzo di poche elementari primarie ed ancestrali azioni fondative quali il tracciare e lo scavare, ottenendo una spazialità psichica rievocativa di immagini della memoria.
Due direzioni, segni urbani, sono tracciati sull’area assumendo valenza territoriale imponendo un nuovo ordine, materializzandosi di fatto in due figure dalle sembianze geometricamente chiare e definite.
Una figura perentoria, un grande scavo rettangolare netto e profondo si impone riorganizzando l’intera area, impronta, segno monomaterico e monoscalare che rievoca la memoria dell’antico fossato successivamente interrato assumendo sembianze di frammento astratto e geometricamente definito. Monomaterico in quanto si manifesta come segno inciso in un unico materiale che indistintamente rivestirà tutte le superfici orizzontali e verticali dell’area di progetto; monoscalare per la assenza di particolari che lo rendano differente alla vista lontana o vicina.
Lo scavo sovverte la consueta visione della città guadagnando una quota profonda che esclude alla vista quella parte del suolo percorsa dal traffico della dimensione odierna, introducendo a quella sensazione di dimensione parallela, privilegiata, protetta ed attenuata, dove prevale sullo sfondo del cielo il colloquio tra le architetture. All’interno di questo invaso spaziale, di questo spazio assoluto, si affacciano le due presenze potenti della Rocca e della Collegiata, secondo una concezione prospettica che non è quella centrale assiale rinascimentale e ottocentesca, ma quella che vede rapporti visivi collidenti tra figure e oggetti, di parti incluse e di frammenti esclusi, secondo una logica più selettiva della visione. L’invasione di questi due oggetti obbligati a confrontarsi all’interno di uno spazio così tendente alla riduzione e all’astrazione, vede detonare e reagire la prepotenza plastica e materica dei bastioni visibili in tutta la loro originaria altezza, almeno in un tratto, con l’algida astrazione dello scavo.
Naturalmente questo operare non si pone nella logica di un intervento di ripristino delle antiche e scomparse vedute ma si pone in quella di un intervento critico e interpretativo.
Questo scavo che rievoca l’operare dell’archeologo che procede ad un sistematico disseppellimento all’interno di un’area definita che diventa un’asola atemporale, introduce in un viaggio a ritroso nella storia dove la sedimentazione manifesta attraverso la memoria il trascorrere impalpabile del tempo.
Con un linguaggio volutamente secco, ridotto, essenziale, questa architettura che non si pone problemi di facciata, agisce fortemente ma defilata, evita eccessi semantici, ma è incline alla seduzione del segno e del valore espressivo dell’energia che lo ha generato ed impresso. Il segno ossessivamente appare materializzato sotto forme diverse, nell’impianto dello scavo come nelle secche incisioni impresse sul volume inclinato, nelle bucature del grande atrio, come anche nelle più libere spezzate delle rampe che risalgono radenti le mura.
Questo spazio così chiaramente connotato diventa un luogo dello stare, un segno unitario che ricuce visivamente le due parti ora divise dalla cesura del profondo invaso del torrente ed inquinate dai parcheggi di superficie; questo nuovo spazio incassato sarà il luogo deputato ad ospitare il mercato all’aperto, sotto la massa incombente della Rocca, si accenderà della vita vivace del mercato, o vivrà altrimenti una dimensione più meditativa; raggiungibile dal grande piano inclinato che parzialmente avvolge la collegiata o dalle rampe che come crepacci si insinuano radenti le mura guadagnando la loro base originaria obbligando lo spettatore a percepire la loro potenza plastica e materica nella suggestione di visuali inedite, offre all’interno dello stesso segno unitario, momenti differenti: il teatro dell’acqua che con la sua gradinata sospesa e il piano inclinato consente di raggiungere il piano dell’acqua del torrente che qui forma un velo tranquillo, inquadra dalla bucatura che lo affianca il paesaggio e le montagne lontane; il setto isolato, che genera un ambito defilato al cospetto dell’incombente mole della Rocca e sul quale si riapre l’antico accesso alla sua base; il piano inclinato che emerge addentrandosi nella scura vegetazione sotto fitte chiome di quel frammento di bosco da reintegrare, alle spalle della Collegiata che satura la vista della attuale piazza superiore.
Se il primo segno ordinatore tracciato si è tradotto nel sottrarre della piazza scavata, in un’incisione, il secondo, ad esso ortogonale, si esprime con l’addensarsi della materia: un volume che si presenta solido, grezzo, monolitico, nella ruvidità di un cemento armato che offre la sua grana materica alla vista, trattato in modo duro e sordo , nel quale le incisioni ad esso inferte consentono di apprezzare il passaggio e l’ascesa nella materia,di risalire per mezzo di piani inclinati guadagnando la quota della piazza superiore, emergendo da passaggi angusti per scoprire alla vista il grande piano inclinato libero da ogni elemento al di fuori delle incisioni, nella sua nudità severa, spazio che nuovamente agisce sulla visione in modo selettivo, ma differentemente dallo scavo non scaglia una direzione nello spazio ma sembra accogliere gli elementi dell’intorno sul suo piano come una natura morta, uno spazio contemplativo dove in un’atmosfera di attesa metafisica gli oggetti si rimandano ombre assolute. Questo nuovo suolo artificiale astratto e geometrico, luogo deputato agli spettacoli all’aperto, nasconde nelle sue viscere, in un sottosuolo scavato, le funzioni maggiori. Questo spazio cavernoso dalle generose dimensioni risale poi in verticale alla sua estremità, conformandosi in un grande spazio, atrio urbano a tutta altezza in grado di accogliere l’esposizione anche permanente di sculture colossali, uno spazio suggestivo percorso da scale e collegamenti verticali tra tutti i livelli e le funzioni, che si apre alla vista della grande cavità sotterranea attraverso il piano sospeso dell’area espositiva. Attraversa questo spazio un percorso sospeso nel vuoto, consentendo l’accesso diretto alla piazza risalendo lungo la stretta fessura che traguarda la Rocca; in una copertura che diventa abitata trovano posto i vigili. Una bucatura secondaria consente di accedere dalla piazza al grande atrio affacciandosi sul vuoto sottostante da un punto di vista privilegiato; raggiungibile da una scala che si arrampica sulla parete inclinata, il volume sospeso del cubo incassato nel muro inquadra come un cannocchiale, dall’alto, il panorama dei tetti della città contemporanea fino all’orizzonte lontano delle montagne, condensando una visione contrapposta a quella più metafisica generata dalla grande piazza inclinata che abbiamo alle spalle.
Questo edificio è stato concepito per una grande versatilità funzionale che consente di impiegare i suoi spazi volutamente architettonicamente connotati qualitativamente per usi anche diversi dal semplice parcheggio, un luogo che può ospitare come una piazza coperta, nella logica di certi luoghi porticati medioevali anche mercato al coperto, fiere o mostre che necessitano di grandi dimensioni superiori a quelle gia previste dalla zona destinata all’esposizione.